Gestione dei conflitti. Il ruolo dell’empatia e della congruenza
La Psicologia Umanistica, passaggio importante nella gestione dei conflitti e nella mediazione, punta all’incontro e al dialogo.
L’elemento-chiave dell’incontro e del dialogo nella relazione di aiuto è quel “clima facilitante” caldo, rilassato, privo di giudizi e critiche, che incentiva la libera espressione personale.
Esso viene delineato da tre aspetti, le cosiddette ‘condizioni necessarie e sufficienti’ per il cambiamento, il quale a sua volta permette al cliente di elaborare e superare il problema.
L’accettazione positiva incondizionata
Può essere definita come riconoscimento e accoglienza dell’altro in quanto persona, al di là delle appartenenze sociali, culturali, religiose, etniche, di genere.
È dunque l’opposto di un atteggiamento valutativo e critico basato sui nostri personali parametri.
L’accettazione positiva incondizionata è un fattore potentissimo perché ha una profonda valenza esistenziale che potremmo definire “La novità di ognuno”, come titola il libro di Roberta De Monticelli (2009).
Ciascun essere umano, in quanto tale, ha il diritto di riceverla. Inoltre essa soddisfa alcuni bisogni fondamentali delineati da Maslow.
L’empatia
La definizione classica di empatia è: percepire il mondo soggettivo dell’altro ‘come se’ fossimo nei suoi panni, senza tuttavia identificarci totalmente.
Commenta Pagès (1965, pag.99): “L’empatia si realizza nella coscienza profonda della separazione, della contingenza, della differenza, della individualità di due esseri che comunicano. Essa è al tempo stesso percezione dell’altro e percezione di me stesso che non sono quest’altro e non lo sarò mai”.
Perché la differenza fra empatia e identificazione è così importante, al punto che Rogers non dimentica mai di sottolinearla? Per vari motivi, riassumibili nel fatto che un vero dialogo è possibile soltanto quando ciascuno è se stesso.
Secondo il noto aforisma di Martin Buber, il filosofo ebreo molto vicino alla psicologia umanistica “Non esiste un Io senza un Tu che lo conosca” (1951).
Serve dunque un interlocutore capace di comprendere le difficoltà, i problemi, l’angoscia ma anche di non angosciarsi a sua volta. Perciò l’empatia si fonda sulla ‘congruenza’ di chi offre l’aiuto.
Christine Maslach (1982) è stata fra i primi a occuparsi dell’empatia di coloro che lavorano nelle relazioni di aiuto, sviluppando il concetto di ‘burnout’ e il relativo test.
Gli operatori troppo oberati o che si identificano eccessivamente con gli utenti vanno incontro ad una sorta di progressivo ‘esaurimento emozionale’, fino alla perdita di senso per quello che fanno, al distacco e addirittura al cinismo.
Dice un’assistente sociale: “Ho cominciato a disprezzare tutti e non riuscivo più a nascondere il mio disprezzo”.
E Michelle B., console degli Stati Uniti: “Abbiamo colloqui con persone che chiedono il visto di soggiorno e dobbiamo stabilire se abbiano i requisiti […]. I poveri tentano ogni forma di frode o di alterazione dei fatti…disponiamo di circa tre minuti per ogni colloquio, con centinaia di richiedenti che reclamano il loro turno. Rifiutiamo il visto perché una persona che lo richiede ha i capelli grassi o i risvolti della giacca troppo larghi […] Cominciamo a disprezzare i poveri, se non tutti i cittadini dei paesi in cui lavoriamo” (ibid.).
Non è chiaro se la console Michelle sia in pieno burnout oppure già predisposta per conto suo al razzismo. Oppure accecata dal suo potere.
In ogni caso, l’empatia, quando c’è, sembrerebbe una riserva che può esaurirsi, lasciando il posto all’indifferenza o anche al cinismo e al disprezzo.
Perciò è indispensabile non solo che gli operatori non arrivino ad essere stremati, ma anche che “l’umanità venga coltivata” (Nussbaum, 1999) e trasmessa loro dalla società che li circonda.
Nella relazione di aiuto, l’empatia deve esprimersi anche verbalmente: le cosiddette ‘tecniche del rimando empatico’ o ‘risposte-riflesso’ permettono di far emergere, con rispetto e delicatezza, il mondo interiore del cliente.
Ovvero, sentimenti, affetti, desideri, punti di vista, valori e costrutti.
Risposte empatiche efficaci incoraggiano a proseguire il discorso senza che vi sia la necessità di porre troppe domande, che fra l’altro svierebbero il flusso dei pensieri.
Tuttavia l’empatia in quanto disposizione, attitudine, modalità di relazione non va ‘ridotta’ alle tecniche del rimando, che altrimenti rischiano di divenire sterili formule.
A volte, ad esempio, per empatia sappiamo di dover tacere anziché formulare anche il più brillante dei rimandi.
Risposte empatiche
Nelle risposte empatiche possono essere riflessi diversi elementi che compaiono nel discorso del cliente:
- Le emozioni, i desideri, gli stati d’animo nelle loro innumerevoli gradazioni e sfumature
- Esempio cliente: “Sono tornato al lavoro dopo due mesi di malattia e nessuno mi ha chiesto niente di come sono stato”
- Counselor: “Mi sembra che Lei sia amareggiato, avrebbe desiderato un po’ di interessamento”.
- I punti di vista
- Esempio Cliente: “Finalmente ho passato l’esame! Che meraviglia! Nel weekend sono uscita con le mie amiche e mi sono divertita. Era ora! Non ne potevo più di studiare!”.
- Counselor: “Insomma, pensa che se lo è davvero meritato, questo weekend!”
La congruenza
Una genuina accettazione e una buona capacità empatica sono difficili da realizzare senza aver prima accettato e conosciuto se stessi.
La congruenza è appunto il contatto della coscienza con il vissuto profondo, la piena integrazione fra esperienza e simbolizzazione.
Essa è sinonimo di buon funzionamento della personalità, anche perché promuove la libertà e la responsabilità.
La consapevolezza delle proprie emozioni, ad esempio, rende più opportune le scelte e modula il comportamento.
Alcuni vedono nella accettazione positiva incondizionata e nella congruenza una comune ‘openess’, l’apertura consapevole al mondo interiore proprio e altrui, in grado di superare le barriere e le differenze.
Concetti simili a quello di congruenza si ritrovano in vari indirizzi teorici.
Quello forse più vicino è il ‘vero sé’, contrapposto al ‘falso sé’, dello psicoanalista inglese Donald Winnicott (1960).
Per quanto riguarda il nostro discorso, l’importante non è tanto essere completamente privi di parametri di valutazione, supposizioni e anche ‘proiezioni’, cosa che sarebbe praticamente impossibile, ma sapere quando e perché si hanno, o almeno chiederselo.
Solo essendo sensibili alla questione e prendendone coscienza, infatti, possiamo gestire e padroneggiare i nostri limiti. Ed evitare di attribuire ad altri problemi che invece ci appartengono.
Valeria Vaccari
(3 – continua)
(Foto di copertina di Annie Spratt – Unsplash)