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Psicologia Umanistica - photo Sasha-Freemind-Unsplash---

Gestione dei conflitti: la Psicologia Umanistica

Il sociobiologo David Sloan Wilson afferma che, nel futuro immediato e anche remoto, o saremo umani o non saremo.

Se finora nell’evoluzione della nostra specie a dettar legge è stata la competizione darwiniana, siamo arrivati al capolinea.

La pandemia, l’emergenza climatica e gli scambi globali ci obbligano a collaborare, se vogliamo sopravvivere.

Ciò significa pensare all’umanità come a un unico gruppo, all’interno del quale essere solidali, gestendo i conflitti nel modo migliore ed evitando guerre, abusi e sopraffazioni.

Da qui l’importanza del reciproco riconoscimento, fatto di capacità empatiche e di valori condivisi.

Umanesimo e psicologia umanistica

“Umanesimo” ha vari significati:

  • valorizzazione e cura di tutto ciò che riguarda la nostra specie (e il pianeta in cui vive);
  • visione ampia e profonda della natura umana che eviti appiattimenti, rigidità e preclusioni;
  • richiamo alla coscienza e alle sue capacità di elaborazione;
  • appello a coltivare la pace, il dialogo e la solidarietà (Nussbaum, 1999) distinguendoci dalla presunta ferocia degli animali

Scrive Joseph Raz (1986, pag. 194): “Per semplificare la questione, affermerò subito il principio umanistico secondo cui la spiegazione e la giustificazione della bontà o della malvagità di una cosa qualsiasi derivi […] esclusivamente dal suo contributo […] alla vita umana e alla sua qualità”.

Tali parametri sono semplici e ubiquitari, non certo prerogativa dell’Occidente. Si ritrovano ampiamente nella antica filosofia cinese (Kaltenmark, 1972) così come nella Nahda araba del XIX secolo.

Nella storia occidentale, l’Umanesimo è il movimento di pensiero sorto nell’Italia del ‘400, i cui principi furono ripresi dall’Illuminismo fino a costituire lo sfondo della progressiva conquista dei diritti umani.

Un’altra fioritura è la psicologia umanistica sviluppatasi negli Stati Uniti a partire dagli anni ‘40 del Novecento.

Essa ha costituito la cosiddetta ‘terza forza’ spesso schiacciata fra psicoanalisi e comportamentismo, i quali erano entrambi, all’epoca, già saldamente affermati.

Psicologia Umanistica - photo Sasha-Freemind-Unsplash---

La “terza forza” dell’umanesimo

La sua origine sta alla confluenza di due grandi filoni di pensiero: il primo, espressione della cultura autoctona americana, trova una sintesi nella filosofia del pragmatismo; ad esso fanno capo autori come Carl Rogers e Abraham Maslow (che peraltro proveniva da una famiglia di ebrei russi).

Il secondo deriva dall’apporto degli intellettuali ebrei e antinazisti in fuga dall’Europa: fra questi ricordiamo Otto Rank, Kurt Lewin, Viktor Frankl, Erich Fromm, Kurt Goldstein e numerosi altri.

Così, in sintesi, la riflessione psicologica e filosofica europea si trovò ad essere sfrondata dei noti appesantimenti ed elaborata in chiave molto più ottimistica e fiduciosa.

Possiamo dire, quindi, che la psicologia umanistica è essa stessa il felice risultato di una cross-pollination’ fra modi di pensare molto diversi. Anche per questo, come vedremo, ha molto da offrire sul tema del rapporto fra culture.

La psicologia umanistica non fu un movimento unitario, una scuola, come invece la psicoanalisi, ma piuttosto una visione dell’essere umano condivisa da terapeuti e studiosi indipendenti.

Rifiutando modelli di tipo riduzionistico o meccanicistico, essi erano accomunati dalla fiducia nella capacità dell’individuo di essere soggetto, cioè agente di scelte, libero e responsabile (Mischel, 1986).

Inoltre credevano nella naturale uguaglianza degli esseri umani e avevano idee radicalmente democratiche sui rapporti sociali.

In quest’ottica, le varie società e culture sono valutate unicamente in base a quanto vengono rispettate e incentivate la libertà e la responsabilità (concetto profondamente relazionale, come vedremo) degli individui che le compongono.

Tali parametri non sono acquisiti una volta per sempre: una Costituzione giapponese del VII secolo, una comunità africana tradizionale possono essere più ‘civili’ di una società occidentale moderna o contemporanea.

Questi assunti non sono soltanto teorici: la caratteristica forse più importante della psicologia umanistica è lo slancio ideale, le ‘passionate convinctions’ che, senza negare il rigore della ricerca scientifica, erano all’epoca e sono tuttora ‘rivoluzionarie’.

Abraham Maslow si esprimeva così: “La vita della scienza può anche essere una vita di passione, di bellezza, di speranza dell’umanità e di rivelazione dei valori” (1962, pag. 7).

La psicologia umanistica è stata senza dubbio una delle correnti che hanno portato al rivolgimento politico e culturale del ’68.

Nonostante si sia poi dispersa in mille rivoli dopo la scomparsa dei suoi principali rappresentanti, essa ha avuto un profondo influsso nell’ambito clinico e sociale.

Molti concetti, fra cui ‘empatia’, ‘sé’ (inteso anche come identità), ‘bisogni’ e ‘motivazioni’ sono stati poi ripresi in altri orientamenti teorici nonché applicati alla mediazione dei conflitti, al counseling, alla pedagogia.

A questo proposito, vi sono due autori-chiave, i cui insegnamenti sono ancora  attualissimi, Carl R. Rogers e Abraham Maslow.

Agostino Portera
(1 – continua)