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Gestione dei Conflitti - Photo Pixabay - sunset-7330952_1280

Gestione dei conflitti. Come riconoscere il conflitto. Parte 3^

Nel trattare della gestione dei conflitti, si è fatto riferimento – in articoli precedenti – ai principi e ai valori (o anche disvalori) che informano i comportamenti.

Dal punto di vista psicologico li abbiamo definiti ‘costrutti’, dimensioni cognitive, di significato, che vengono ‘costruite’ e ‘costruiscono’ a loro volta, appunto, la nostra forma mentis, la visione del mondo e di noi stessi. 

I costrutti possono essere consapevoli e allora parliamo di ‘credenze’, cioè di princìpi di ragionamento coscienti, che siamo in grado di esplicitare o anche dichiarare, perché non sempre rispondenti al vero.

Un principio tranquillamente enunciato da Stalin era “Nessuna persona, nessun problema” (Amis, 2003), ed infatti egli eliminava nemici e anche amici, casomai in futuro diventassero nemici. 

In altri casi, i costrutti sono inconsapevoli, ma possono anzitutto trasparire nel discorso sotto forma di ‘implicature conversazionali’ descritte da Grice (cit.).

Se ad esempio qualcuno dice: “Quello è un extracomunitario, però è una brava persona”, cosa si può inferire?

In secondo luogo, i costrutti vengono agiti nel comportamento come nel caso dei poliziotti americani, più propensi a usare la violenza con i neri.

È dunque opportuno distinguere la ‘teoria dichiarata’, “Io non sono razzista”, dalla ‘teoria in uso’ (Argyris, Schӧn, 1978) per cui tratto i neri con meno rispetto. Oppure mi dichiaro seguace della nonviolenza; e poi me la prendo rabbiosamente con chi non condivide le mie idee.

La dimensione sociale del confliggere

Oltre ad una dimensione individuale, i costrutti hanno una dimensione sociale.

Celebre è il ‘familismo amorale’ studiato da Robert Putnam (1993) nell’Italia del Sud. In base ad esso, il principio di valutazione degli individui, ad esempio per un posto di lavoro, non sono il merito e la capacità, ma l’appartenenza ad un determinato clan.

I costrutti più interessanti dal nostro punto di vista sono quelli che riguardano i conflitti.

La frase: “Chi non è con me è contro di me”, che compare nel Vangelo (Matteo, XII, 20) come incitamento alla fede, si manifesta purtroppo nei secoli successivi con l’affermazione cruenta della Chiesa cattolica, che combatte e perseguita gli gnostici, i catari, i patarini, i valdesi, i dolciniani, gli ebrei e tutti coloro che non accettano il suo insegnamento e il suo potere. 

Infine, dobbiamo tener presente che non per tutti trovare un accordo è qualcosa di positivo, anzi in determinati contesti può essere disonorevole.

“I Promessi Sposi” descrivono la società spagnoleggiante del ‘600. Lodovico, in seguito fra’ Cristoforo, ha ucciso in duello per non cedere il passo: il costrutto infantilmente narcisistico, ‘lasciare spazio (anche in senso concreto) all’altro è disonorevole’ si accompagna all’ipertrofia di un sentimento, l’orgoglio, che non viene modulato bensì stimolato a livello sociale.

La stessa dinamica si verifica in certi delitti di camorra perché la vittima non ha abbassato lo sguardo.

Conflitti irresolubili (o quasi)

I costrutti, come abbiamo detto sopra, sono dimensioni cognitive, di significato, che vengono ‘costruite’ e ‘costruiscono’ a loro volta, appunto, la nostra forma mentis, la visione del mondo e di noi stessi.

I costrutti, come abbiamo dimostrato, sono di grande importanza per la nostra analisi in quanto possono determinare la natura e gli esiti del conflitto.

Costrutti diversi stanno alla base dei meccanismi di competizione e di esclusione.  Mentre il primo ammette e riconosce l’alterità, il secondo no, visto che, se enunciato, suonerebbe: “Tu devi scomparire”.

Entriamo con ciò nell’ambito dei conflitti ‘intractable’, che traduciamo come ‘irresolubili’, anche se dovremmo definirli più propriamente di difficile soluzione.

Louis Kriesberg, (1998) che è stato fra i primi ad analizzarli, ne ha individuato alcune caratteristiche:

  • sono di lunga durata e quindi comportano un progressivo accumulo di reciproca ostilità ed emozioni estreme;
  • sono violenti, appunto a causa di tale eccesso;
  • implicano un grande spreco di risorse umane, militari, economiche;
  • sono percepiti come irresolubili da coloro che ne sono coinvolti, i quali ritengono che la forza sia l’unica soluzione

Quest’ultima caratteristiche è quella che merita la nostra attenzione.

Daniel Bar-Tal, dell’università di Tel Aviv, si è dedicato allo studio del conflitto palestinese-israeliano.

Quanto il conflitto è “totalizzante” e a somma zero

Alle quattro caratteristiche di Kriesberg, egli ne aggiunge altre: gli intractable conflicts sono totalizzanti, pervadono la vita di chi ne fa parte e ne divengono il centro.

Infine, sono ‘a somma zero’ perché le due parti “perceive any loss suffered by the other side as their own gain, and conversely, any gains of the other side as their own losses” (Bar-Tal, 2007 pag. 1433).

Consideriamo appunto il conflitto palestinese-israeliano. Nel suo protrarsi in un equilibrio senza sbocco, senza prospettive per il futuro e con il passato della Shoah alle spalle, esso costituisce una metafora di come lo spazio fisico sia anzitutto uno spazio mentale.

Nel rifiuto reciproco di riconoscimento, ciascuna delle due parti interpreta i tentativi di mediazione, che inevitabilmente comportano il recepire le ragioni dell’altra, come ostili e penalizzanti.

Perciò nel corso degli anni, quelle che sembravano soluzioni a portata di mano si sono dimostrate irraggiungibili.

Un ultimo elemento: nei negoziati del 2000, scrive Azzurra Meringolo Scarfoglio (2017, pag.45), “[…] il primo ministro israeliano Ehud Barak aveva fatto un’offerta ai palestinesi insistendo che non venisse scritta. Anche se in molti pensano che fosse consistente, della sua vera natura non è ancora stato documentato nulla”.

E comunque Yasser Arafat la rifiutò.  Perché una proposta negoziale non può essere divulgata? In una situazione del genere, la presenza di oscurità e segreti complica ulteriormente le trattative.

Secondo Grice (cit.), una corretta comunicazione che imposti corrette relazioni deve rispettare alcuni principi, fra cui ‘non usare oscurità di linguaggio’, che possiamo estendere a oscurità in generale.

Un altro dei principi di Grice è quello di essere veridici, di non fornire informazioni false.

Possiamo riferirlo al pericolo di manipolazione, quando, ad esempio uno dei due attori (ma anche entrambi) mostra una disponibilità che si rivela insincera, perché non è in realtà motivato a trattare. Oppure usa strategie di inganno e/o alterazione della verità dei fatti o anche maschera il motivo del contendere.

Elementi che ostacolano la soluzione dei conflitti

Per riassumere, la presenza di narcisismo maligno (che può appartenere ad un gruppo e non soltanto ad un singolo individuo), di costrutti di esclusione, di false promesse, segreti, proiezioni e manipolazioni dev’essere rilevata il più presto possibile.

Tali fattori, infatti, aumentano il rischio di irresolubilità. La questione è sgradevole e spiazzante, visto che, intuitivamente, una soluzione si può sempre trovare.

Viceversa è importante ammettere che esistono conflitti irresolubili e sapere come gestirli. 

Quando i suddetti fattori sono consistenti, è inutile e dannoso cercare una soluzione simile a quella dei conflitti per competizione.

Non si tratta di accordarsi su un obiettivo esterno, ma sul reciproco riconoscimento e su modalità di rapporto minimamente positive.

Soltanto successivamente si potrà procedere secondo la procedura standard oppure, in caso di fallimento, prendere in considerazione le alternative, ad esempio una forza di interposizione nei conflitti internazionali. 

Queste considerazioni valgono a tutti i livelli.

L’esito di una mediazione di coppia, in cui uno dei partner è disponibile a mettersi in discussione e l’altro è arroccato e privo di motivazione, può essere disastroso.

Gli interventi stessi del mediatore possono essere fraintesi e il suo tentativo di effettuare una conduzione empatica equilibrata viene visto come schierarsi con la controparte.

Valeria Vaccari
(9 – continua)