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Competenze Interculturali - Formazione - Comunicazione - Relazioni personali - Photo Christina-Wocintechchat-com-faEfWCdOKIg-Unsplash

Carenza di competenze interculturali e conseguenze sulla comunicazione

Quale impatto ha la carenza di competenze interculturali e di competenze sulle dinamiche comunicative e relazionali

La risposta viene da un lavoro scientifico di Agostino Portera, ordinario di Pedagogia Interculturale all’Università di Verona, direttore del Centro Studi Interculturali e del Master in Intercultural Competence and Management.

Questo testo che stai leggendo è ricavato dal capitolo di Portera sulla “Mediazione Interculturale”, contenuto nel libro Manuale di Negoziazione e Mediazione, edito da Zanichelli, 2024.

Come sottolinea Portera, la mancanza di formazione e competenze interculturali si traduce in specifici ostacoli comunicativi e relazionali, che la psicologa A. Mucchi Faina ha analizzato in dettaglio, in un testo del 2006.

Differenze culturali e barriere alla comunicazione

Le barriere generate da differenze culturali si manifestano su più piani:

  • Piano verbale: le lingue sono lo specchio delle culture e risentono di specificità che possono rendere difficile la traduzione e la comprensione dei significati più profondi e emotivi (es. uso del “lei” e del “tu”, gerarchie). La carenza di competenze interculturali porta al rischio di sviluppare stereotipi e pregiudizi, percependo lo straniero come “semianalfabeta” o “barbaro”. Diventa cruciale dedicare più tempo a chiarire il significato dei termini, poiché concetti come “rispetto”, “onestà”, “onore” o “vergogna” possono avere connotazioni culturali profondamente diverse. L’impiego di traduttori non qualificati può ulteriormente compromettere la fedeltà del messaggio.
  • Piano non verbale: le differenze non verbali sono spesso maggiori e più difficili da riconoscere e gestire, poiché si tende erroneamente a considerarle universali. Elementi come la gestualità, il movimento del corpo, il contatto visivo, il sorriso, la puntualità, il modo di vestire, la prossimità spaziale e gli oggetti ornamentali possono assumere significati radicalmente diversi a seconda della cultura. La carenza di competenze in quest’area porta a interpretazioni errate, ad esempio, credere che un sorriso equivalga a un accordo in tutte le culture, mentre in Giappone può significare solo rispetto e silenzio per non offendere. La sospensione del giudizio è indispensabile per evitare queste incomprensioni.
  • Piano paraverbale: anche il tono della voce, il silenzio e i turni di parola sono regolati da “regole comunicative” culturali, spesso inconsapevoli. Lunghe pause e silenzi, vissuti con imbarazzo nelle culture latine, sono un segno di rispetto per finlandesi o nativi americani. Un tono di voce elevato o l’interruzione dell’interlocutore, se abituali in alcune culture, possono essere percepiti come mancanza di rispetto o aggressività in altre.

La barriere più sottili

Inoltre, la carenza di competenze interculturali non consente di riconoscere le barriere più sottili:

  • Falso consenso: la tendenza a considerare i propri giudizi e attribuzioni come universali e generalizzabili, ignorando che comportamenti interpretati come disonestà in Occidente possano essere espressione di vincoli sociali in Oriente.
  • Significato del tacere e del parlare: la difficoltà di comprendere che il silenzio, vissuto con imbarazzo in Italia, possa essere forma di rispetto in altre culture.
  • Riconoscimento ed espressione delle emozioni: la mancata consapevolezza dell’esistenza di “dialetti emozionali” che influenzano la percezione e l’espressione dei sentimenti.
  • Stili comunicativi ad alto e basso contesto: la non comprensione che in alcune culture (alto contesto, come Cina o Giappone) i codici verbali sono poco valorizzati rispetto ai gesti comportamentali (ad esempio, mangiare con gusto come complimento), mentre in altre (basso contesto, come Svizzera o Germania) l’apprezzamento deve essere espresso verbalmente.
  • Stili diretti e indiretti: l’incapacità di distinguere tra chi esprime in modo diretto la propria opinione e chi lo fa in modo indiretto, spesso per “salvare la faccia” dell’interlocutore, come avviene nei Paesi Arabi.

Tali carenze possono portare a generalizzare le proprie modalità comunicative. Oppure a creare coalizioni implicite con la parte più vicina a livello culturale, compromettendo l’imparzialità del processo di mediazione.

Le competenze interculturali (CI) come risposta formativa

Di fronte a questa complessa realtà, appare chiara l’urgenza di una riflessione approfondita sulle competenze che mediatrici e mediatori devono acquisire per operare efficacemente in contesti multiculturali.

Non si tratta di identificare un unico metodo di mediazione, ma di ampliare gli approcci tradizionali grazie al contributo della pedagogia interculturale.

Un modello interattivo di Competenze Interculturali (CI), sviluppato da Portera, risulta assai rilevante per il settore della mediazione.

Questo modello si articola in tre aree fondamentali:

  • Area del sé (Attitudes): include attitudini quali apertura, sensibilità, decentramento, curiosità, umiltà, flessibilità, rispetto, responsabilità, pensiero critico, accettazione, empatia e congruenza. Queste qualità personali sono fondamentali per un approccio etico e non giudicante.
  • Saperi (Knowledge): comprendono la consapevolezza del proprio sé culturale, la conoscenza degli standard della propria cultura e di quella “altra”, e i saperi comunicativi (verbali, non verbali e paraverbali), oltre a saperi disciplinari, multidisciplinari e interdisciplinari.
  • Saper fare (Skills): riguardano le abilità linguistiche e comunicative (pensiero, ascolto, dialogo), la capacità di accettazione, empatia e congruenza, l’osservazione, l’analisi e l’interpretazione della realtà (interna ed esterna), l’abilità di stabilire relazioni positive e costruire rapporti stabili e di fiducia, e infine le competenze nella negoziazione e gestione dei conflitti.

Nel setting di mediazione interculturale, l’esercizio di competenze come l’accettazione del nuovo e dello straniero (anche in sé stessi), l’empatia e la congruenza sono di primaria importanza.

È inoltre cruciale curare l’ambiente esterno della mediazione, assicurando tempi, spazi e luoghi adeguati all’incontro e all’interazione, e promuovere la qualità delle relazioni interpersonali basate su dialogo, confronto e interazione.

Un’ulteriore evoluzione del modello di CI radica le competenze nelle tradizioni orientali, come la filosofia del Tao e dei Chakra, enfatizzando la complementarità degli opposti e la necessità di uno sviluppo olistico del mediatore: radicamento, gestione di sessualità e istinti, forza e potere, emozioni e sentimenti, abilità linguistiche e comunicative, intuizione e razionalità, considerazione del divino e della religiosità.

Attenzione a tutte le forme di diversità

Le riflessioni espresse dal Professor Portera evidenziano, così, che la Mediazione Interculturale non è una modalità d’intervento limitata alla presenza di cittadini stranieri; oppure ai soli contesti di nazionalità diverse.

L’aggettivo “interculturale” implica una spiccata attenzione a tutte le forme di diversità presenti nel setting di mediazione, che possono riguardare non solo lingua e nazionalità, ma anche genere, orientamento politico, religione, scolarizzazione e orientamento sessuale.

Confondere cultura con nazionalità, e presumere omogeneità all’interno delle nazioni, è un errore comune che rischia di alimentare stereotipi e pregiudizi.

Poiché le differenze rappresentano la regola, e non l’eccezione, in ogni rapporto interpersonale, ogni setting di mediazione detiene elementi di diversità linguistico-culturale.

A sua volta, ogni mediatrice e mediatore, in ogni settore di intervento, necessita di acquisire e affinare di continuo le competenze interculturali.

L’adozione di adeguate Competenze Interculturali, attraverso la conoscenza, l’incontro, il dialogo, il confronto, l’interazione e la gestione dei conflitti, permette di riconoscere e rispettare le diversità.

Non ci si ferma, tuttaviam qui: le competenze interculturali permettono anche di modificarsi quando si rivelano inappropriate o dannose (come la violenza o pratiche irrispettose dei diritti umani).

Ciò avviene tenendo conto di imprescindibili leggi e regole universali, e affrontando le nuove sfide e opportunità che emergono da situazioni complesse e in continua evoluzione.

Investire in una formazione interculturale qualificata e sostenuta è, pertanto, una necessità impellente per superare gli ostacoli attuali e costruire contesti sociali più giusti, inclusivi e sostenibili.

Di qui l’importanza di percorsi di alta formazione, come il Master in Intercultural Competence and Management – Mediazione interculturale, Comunicazione e Gestione dei Conflitti, diretto da Agostino Portera e organizzato dal Centro Studi Interculturali dell’Università di Verona.

Articolo a cura di Maurizio F. Corte
Coordinatore didattico e docente del Master in Intercultural Competence and Management

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