Gestione dei conflitti. Come riconoscere il conflitto. Parte 2^
I conflitti possono essere inquadrati sotto vari aspetti: da quello della competizione all’esclusione, dalla sua espressione visibile (overt) a quella nascosta (covert).
È importante aver presenti questi aspetti, per conoscere a fondo le modalità e le situazioni conflittuali. E per la gestione dei conflitti.
Il conflitto e la competizione
Si tratta di un meccanismo di interazione ubiquitario che si manifesta quando un medesimo obiettivo viene perseguito e conteso da due o più parti.
Le tribù primitive di pastori nomadi lottavano per i pascoli, quelle dei cacciatori per territori ricchi di selvaggina.
Un bambino ruba il giocattolo al suo compagno, il quale a sua volta si arrabbia. Una multinazionale mette in atto il ‘landgrabbing’, sottraendo le risorse del territorio alla popolazione locale, che prima o poi reagisce.
Una variante della competizione è la ‘divergenza’, in cui l’obiettivo non è conteso, bensì condiviso, ma ciascuno vuole fare a modo suo: all’interno di un partito le varie correnti litigano su come realizzare il programma o vincere le elezioni.
In sintesi, si compete per svariati motivi:
- conseguire una vittoria,
- rivestire un ruolo,
- realizzare un desiderio,
- conquistare un territorio,
- affermare il proprio punto di vista,
- assicurarsi una risorsa,
- ottenere un premio,
- raggiungere la leadership
Questi sono alcuni dei motivi della competizione. L’elemento comune sta nel fatto che l’obiettivo è esterno alla relazione: si confligge per ottenere qualcosa.
Il conflitto e l’esclusione
Il conlitto è un meccanismo particolare e fortemente irrazionale, legato alla aggressività distruttiva: non si confligge ‘per’ qualcosa, ma ‘contro’ qualcuno, che dev’essere a priori ‘messo fuori’ dall’ambito relazionale, sociale o politico, spesso anche ‘fatto fuori’, letteralmente (vedi oltre, la deumanizzazione).
A volte il desiderio di eliminare l’avversario, di negare il suo diritto di esistere, comporta anche il proprio annientamento, come nel terrorismo kamikaze.
Modalità Overt del conflitto
Lamodalità overt del conflitto è una modalità apertamente aggressiva: una delle parti attacca l’altra, ad esempio invadendone il territorio, oppure lo scontro avviene sui confini.
Nei secoli scorsi, i gentiluomini si sfidavano a duello, ora due clan della camorra si affrontano a colpi di mitra per il controllo del traffico di droga.
Il conflitto è comunque manifesto sebbene in determinate situazioni, come la guerriglia, possa non essere ben localizzato.
Modalità Covert del conflitto
La modalità covert del conflitto comprende modalità meno visibili e più difficili da cogliere.
Fra esse individuiamo lo ‘ostacolamento’ che compare quando una delle parti in causa blocca (o cerca di farlo) le azioni intraprese dall’altra (e reciprocamente). Un potente motore di questo comportamento è l’invidia.
Un’altra modalità è la ‘sottrazione’, tipica delle personalità passivo-aggressive, che consiste nell’evitare i doveri o gli obblighi insiti nelle relazioni.
Una forma molto frequente nelle coppie è immusonirsi, non parlare al partner, che spesso invece si irrita, sbraita, cioè risponde con una aggressione aperta.
Interrompere la comunicazione è catastrofico se applicato ai bambini, che si spaventano moltissimo anche perché non ne comprendono i motivi.
Un esempio: una giovane donna ricorda che, nell’infanzia, i genitori facevano regali belli e costosi al fratello e a lei…caramelle. Ciò la induceva a pensare di aver meno valore di lui e suscitava da parte sua continue lamentele e provocazioni.
Quanto detto deve sensibilizzarci ad una visione complessa delle interazioni, a non scambiare per aggressività offensiva quella di chi si agita apertamente: a volte può essere una reazione difensiva a modalità passivo-sottrattive.
Una questione di spazio
Come abbiamo detto, i ‘conflitti per competizione’ sorgono quando le istanze delle parti sono contrapposte.
Le tribù primitive in lotta per le risorse del territorio stavano al livello più elementare della scala di Maslow, la sopravvivenza. I bisogni di stima e appartenenza, legati all’identità, suscitano conflitti fra valori.
L’autorealizzazione spesso comporta misurarsi con gli altri per arrivare ai propri obiettivi. Così come l’aggressività che li alimenta, dunque, i conflitti si sviluppano da bisogni e motivazioni naturali, di per sé niente affatto negativi.
Sopravvivere, mantenere la propria identità, agire con efficacia nel mondo sono ottime ragioni.
Molto più difficile è spiegare i conflitti che insorgono quando bisogni e motivazioni sono ampiamente saturati, nonché i ‘conflitti per esclusione’, che mirano a distruggere ed eliminare direttamente la controparte.
Il problema sta appunto nei limiti o meglio nella incapacità di autolimitarsi.
Il concetto di ‘campo’, è stato elaborato da Kurt Lewin (1952), lo psicologo di origine ebraica, che era tra gli intellettuali europei transfughi dal nazismo.
In analogia con quello elettromagnetico, il campo viene definito come l’insieme di tutti gli elementi che, interagendo fra loro, costituiscono in un determinato momento una determinata situazione.
Ogni individuo è dunque situato al centro di un sistema di forze endogene ed esogene correlate.
Il “campo” entro cui ci muoviamo
Dalla teoria di Lewin possiamo trarre un fattore importante per il nostro discorso: il campo ha la dimensione dello ‘spazio’, sia fisico che mentale.
Immaginiamo, ad esempio, che in un appartamento condiviso qualcuno occupi con le sue cose gran parte degli armadi, dei ripostigli, delle superfici disponibili.
Oppure che una conversazione venga monopolizzata da uno solo degli interlocutori. O infine che, ad un appuntamento, una persona non si presenti senza avvertire e senza scusarsi.
Inevitabilmente sorgono micro-conflitti, la cui struttura è identica a quella dei macro-conflitti: lo ‘spazio’ fisico e prossemico, le coordinate normative vengono indebitamente ristretti da un lato e allargati in quello opposto.
Qual è il problema? Il problema è la mancanza di riconoscimento dell’altro (o dell’Altro, se vogliamo dare una connotazione astratta e generale).
Occorre ricordare il fenomeno dell’egocentrismo cognitivo, cioè l’incapacità di staccarsi dal proprio punto di vista, di perspective taking.
Manca, nella mente, proprio lo spazio che dovrebbe ‘contenere’ l’interlocutore, come soggetto provvisto di individualità sua propria, con istanze distinte da rispettare.
L’egocentrismo cognitivo, oltre all’aggressività, è un tratto distintivo dei narcisisti perversi e maligni. Poiché non hanno limiti, essi invadono lo spazio altrui, distruggendolo.
Spesso, purtroppo, individui del genere compaiono sulla scena politica.
A volte la rigidità psicologica, la sicurezza nell’affermare il loro punto di vista, l’unico che considerano perché quello degli altri…non esiste, viene scambiata per determinazione, l’arroganza per sicurezza e forza morale.
È attribuito ad Emil Kraepelin, un famoso psichiatra della prima metà del ‘900, una fulminante constatazione: “Individui del genere a volte finiscono in manicomio, a volte ci governano”.
È allora importante riflettere sui costrutti e sui valori che muovono le persone, per comprendere in quali condizioni si colloca il conflitto.
Valeria Vaccari
(8 – continua)