
Competenze interculturali nel tempo della globalizzazione
Affrontare oggi il tema delle competenze interculturali significa addentrarci in un campo di studi non solo accademico, ma di impellente rilevanza per la nostra vita quotidiana e professionale.
Viviamo in un’epoca di globalizzazioni e società complesse, dove mutamenti rapidi e drastici investono ogni persona.
Una delle sfide è la comunicazione tra persone con usi, costumi, valori e religioni differenti. I fatti di cronaca ci mostrano purtroppo manifestazioni tragiche di violenza legate a differenze, che siano religiose, politiche o persino legate all’apparenza fisica.
In questo scenario, che si è evoluto dai decenni post-bellici in cui si cercava un ethos comune nel rispetto della diversità, ci troviamo oggi immersi in quella che Agostino Portera, pedagogista e direttore del Master in Mediazione Interculturale, nei suoi scritti definisce l’età del neoliberismo.
Questa potente “onda” ha stravolto i sistemi di valori, potenziato egemonie e un capitalismo “senza regole e senza limiti”, dove persino l’educazione diventa occasione di profitto.
Si scoraggiano la riflessione critica e l’impegno pubblico, affievolendo i valori del vivere civile.
L’individualismo competitivo, alimentato da logiche di mercato, rischia di marginalizzare l’attenzione per la persona, la comunità e l’ambiente.
Anche il sistema scolastico ne è pervaso, rischiando di sottostare a logiche di mercato e di instillare conformismo a scapito del pensiero critico e della formazione di persone e società eque.
Di fronte a questa “crisi di valori, di governabilità e di orientamento”, la risposta della Pedagogia è chiara e, secondo Portera, ineludibile: dobbiamo investire sull’educazione e sulle competenze interculturali.
Tutta l’educazione, oggi, andrebbe coniugata in chiave interculturale.
La Pedagogia interculturale rappresenta una vera e propria rivoluzione copernicana.
Concetti come “identità” e “cultura” vengono intesi in maniera dinamica, in continua evoluzione, non statica.
L’alterità e la vita in una società complessa e multiculturale non sono più viste come rischi, ma come opportunità di arricchimento e crescita.
L’incontro con l’altro è una sfida, una possibilità di confronto e riflessione su valori e comportamenti.
L’approccio interculturale
L’approccio interculturale si distingue dal multiculturale.
Mentre la multiculturalità descrive la semplice convivenza di persone di culture diverse “gli uni accanto agli altri, come in un condominio”, l’aggiunta del prefisso “inter” presuppone la relazione, l’interazione, lo scambio.
Si tratta di un approccio che si colloca tra universalismo e relativismo, superandoli nella possibilità del dialogo, del confronto e dell’interazione.
Come sottolinea il pedagogista Luigi Secco, l’intercultura non esiste “in sé e per sé”, ma esistono i rapporti tra persone appartenenti a diverse culture.
Il dialogo interculturale avviene tra persone e implica la rinuncia a una dominanza o a una concezione universalistica della propria cultura. Promuove il dialogo come pratica concreta basata sull’ascolto reciproco e sulla dimensione critica.
Pertanto, la Pedagogia interculturale promuove l’incontro con l’Altro e la costruzione di significati condivisi attraverso il contatto concreto tra persone differenti.
L’obiettivo primario è imparare a costruire un reciproco arricchimento a partire dalla conoscenza dell’alterità.
L’educazione alla differenza
Si passa dall’indifferenza o paura della diversità all’educazione alla differenza, cercando di interconnettere le differenze attraverso un pensiero di tipo transitivo.
Questa prospettiva considera la cultura non come statica, omogenea e legata a un territorio.
La cultura viene vista come mista, “sfrangiata, priva di bordi, difficile da definire, in costante cambiamento e sottoposta a un continuo processo di influenza reciproca”. Questo sottolinea il professor Portera, direttore del Centro Studi Interculturali dell’Università di Verona, nei suoi scritti.
La cultura è dinamica, permeabile e si apprende nelle relazioni sociali, non è innata né assorbita passivamente. Per questo, l’educazione interculturale ci offre le “lenti” per vedere le culture nella loro dinamicità e trasformazione.
Affinché si passi dalla multiculturalità esistente all’interculturalità relazionale, è indispensabile l’intervento educativo.
La Pedagogia deve stimolare, promuovere e suscitare il dialogo e l’interazione tra persone diverse.
Portera parla di una “Pedagogia dell’essere più che della cultura”, che mira alla formazione dell’essere e alla valorizzazione delle potenzialità interiori.
Si transita da una Pedagogia dell’integrazione a una Pedagogia dell’interazione, riconoscendo il ruolo ineliminabile delle differenze e puntando all’inclusione.
L’obiettivo è imparare a comunicare tra persone di origini culturali diverse, indipendentemente da lingua, comportamenti o credenze.
La gestione dei conflitti
Al centro dell’intervento pedagogico interculturale vi è la gestione dei conflitti.
Un dialogo paritetico è possibile solo se gli interlocutori sono capaci di accogliere e riconoscere l’Altro, operando un decentramento da sé stessi e mettendo in discussione il proprio punto di vista.
A scuola, attuare i principi interculturali implica sempre un atto di decentramento culturale; e l’apprendimento a riconoscere e gestire i conflitti in modo umanamente accettabile.
È qui che si inserisce la necessità di competenze interculturali (CI).
Il concetto di CI, sebbene diffuso in Europa e in Italia anche per necessità imposte da progetti europei, ha origini negli Stati Uniti degli anni cinquanta, inizialmente con una matrice “meramente strumentale”, orientata alla persuasione o alla vendita.
Questa prospettiva, secondo Portera, è “riduttiva e per certi aspetti anche pericolosa” e “antipedagogica”, contrastando con i principi educativi europei.
Le CI, nella visione pedagogica, devono stimolare l’attività e l’autonomia dell’educando per renderlo protagonista nella società.
Per superare questi limiti, è stata condotta una ricerca, coordinata dall’Università di Verona, per definire e individuare le CI.
Dalla sintesi dell’analisi bibliografica e dalla ricerca empirica con “operatori privilegiati” (insegnanti, medici, avvocati, manager, mediatori, ecc.), è stato elaborato un modello.
Le competenze interculturali
Le competenze interculturali, secondo Portera, sono definite come “l’insieme di caratteristiche, conoscenze, attitudini e abilità atte a gestire con profitto relazioni con persone linguisticamente e culturalmente differenti”.
Queste competente interculturali (CI) sono state suddivise in tre categorie principali, strettamente interconnesse e dinamiche:
SAPERE (Knowledge). Riguarda le conoscenze acquisite, sia codificate (studio) che esperienziali. Include:
- Consapevolezza del Sé culturale: conoscere la propria cultura.
- Conoscenze culture proprie e altre: informazioni sul contesto, ruolo, impatto delle culture, altri punti di vista e specificità.
- Conoscenze linguistiche verbali, non verbali e paraverbali: la conoscenza di più lingue è preferibile.
SAPER ESSERE (Attitude). Comprende le caratteristiche personali, psicologiche e socio-culturali che facilitano prestazioni efficaci e le relazioni interpersonali.
Questa area è centrale nel modello, collegata all’area del “Sé” e ai bisogni fondamentali dell’essere umano. Include:- Flessibilità, sensibilità, curiosità.
- Apertura al nuovo e al diverso.
- Capacità di ascolto, dialogo e confronto.
- Attenzione all’altro, condivisione, cooperazione.
- Abilità emotive e sociali: intelligenza intra e interpersonale.
- Pazienza, motivazione, decentramento. Il decentramento è essenziale per il dialogo paritetico.
- Empatia, accettazione e congruenza.
- Gestione della incertezza.
SAPER FARE (Skills). Si riferisce alla capacità di applicare le conoscenze attraverso abilità pratiche e intellettuali, per realizzare compiti o gestire problemi. Include:
- Abilità linguistiche e comunicative: legate al pensiero autonomo, all’ascolto attivo e al dialogo assertivo.
- Accettazione, empatia e congruenza.
- Osservazione, analisi e interpretazione della realtà.
- Abilità relazionali: saper valutare situazioni nuove, costruire rapporti stabili e affidabili, creare gruppi cooperativi, accoglienti e inclusivi.
- Mediazione e gestione conflitti. La gestione dei conflitti è un concetto centrale e una perla pedagogica.
È fondamentale comprendere che queste aree non sono separate rigidamente, ma interagiscono costantemente.
L’area del “Sé” (con le sue attitudini come apertura, decentramento, empatia) è al centro, da cui si irradiano e con cui interagiscono le conoscenze (Sapere) e le abilità pratiche (Saper fare).
Lo sviluppo e l’esercizio di queste competenze dipendono anche dall’ambiente esterno e dalla qualità delle relazioni interpersonali.
Formare gli insegnanti
Dalle ricerche emerge che molte scuole promuovono poco queste competenze e che gli insegnanti spesso si sentono isolati e non adeguatamente formati.
È quindi cruciale investire nella formazione degli insegnanti alle CI, non solo quella iniziale ma anche quella permanente.
Temi come la cittadinanza e l’educazione interculturale rischiano di essere marginalizzati nel proliferare di tecnicismi.
La formazione alle competenze interculturali è necessaria per tutti gli insegnanti, in tutte le scuole, a prescindere dalla presenza di alunni immigrati.
La diversità culturale è ovunque
Infatti, nella prospettiva di Portera, le CI non sono da applicare solo in contesti con specifici “stranieri”. La realtà multiculturale riguarda tutte le classi.
La diversità culturale non deriva solo dall’immigrazione, ma anche da viaggi, scambi, contatti virtuali, televisione e persino dalle differenze “culturali” esistenti all’interno della stessa famiglia (politica, religione, adesione al neoliberismo).
Pertanto, le CI sono indispensabili per affrontare le sfide, i rischi e le opportunità del vivere e operare in contesti sempre più pluralistici e multiculturali.
A scuola e nel settore educativo, le CI non dovrebbero tradursi in attività aggiuntive o progetti ad hoc, ma in una forma mentis interculturale da includere all’interno di ogni disciplina e ogni attività.
Il semplice contatto con l’alterità non basta; bisogna imparare a interagire in maniera opportuna.
Non si tratta di eliminare etnocentrismo, stereotipi e pregiudizi (che non sono eliminabili dall’esistenza umana), ma di essere formati a riconoscerli e gestirli in maniera adeguata.
In definitiva, per Portera, le competenze interculturali sono essenziali per navigare la complessità del mondo attuale.
Le CI richiedono una comprensione profonda e dinamica di sé e degli altri (Sapere), un atteggiamento di apertura e decentramento (Saper essere), e abilità pratiche per comunicare, relazionarsi, mediare e gestire i conflitti (Saper fare).
Le competenze interculturali sono così uno strumento pedagogico fondamentale per promuovere il dialogo, l’inclusione, la giustizia e la valorizzazione di ogni forma di diversità. E per contrastare le derive disumanizzanti del neoliberismo e promuovendo una società equa e a misura d’uomo.
Come l’acqua ha bisogno di movimento per non stagnare e diventare maleodorante, così le culture e le competenze interculturali richiedono costante movimento, interazione e la capacità di scegliere i modelli valoriali da proporre.
Testo a cura di Maurizio Corte
* Fonte: A. Portera, Educazione e competenze interculturali nella società neoliberale, articolo scientifico distribuito nel Master universitario in Intercultural Competence and Management.