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Media e Adozione - Affido di minori - Photo Annie-Spratt-ja_hJ4uG-JU-Unsplash

Come raccontare l’adozione di minori. Guida per giornalisti e scrittori

 

L’adozione di minori gode di una buona reputazione. Gli italiani hanno infatti un’opinione tutto sommato positiva dell’adozione di bambini. 

Lo ha dimostrato la ricerca ICONA (Italy and Current Opinion oN Adoption) organizzata qualche anno fa dall’associazione ItaliaAdozioni, che si occupa di cultura dell’adozione e dell’affido.

Non si può dire, in compenso, che l’adozione goda di ottima stampa. Né che goda di ottima narrazione cinematografica e televisiva.

Dall’uso del linguaggio alla scelta degli argomenti, dal frame con cui trattare l’adozione (e l’affido) di minori, alla competenza con cui i giornalisti ne scrivono, vi sono una serie di criticità narrative.

Di qui l’importanza di una serie di capisaldi per un’informazione e per un racconto dell’adottare e dell’affidare che siano aderenti alla realtà e rispettosi delle persone.

Sono parecchi anni, del resto, che ItaliaAdozioni si occupa del tema “adozione e media”, allargando il campo dall’informazione giornalistica alla fiction (film e serie televisive).

Va infatti rilevato come cadute di stile ed espressioni fuorvianti (“mamma vera”, “veri genitori”, l’insistere sull’essere figli o genitori “adottivi” o “adottati”) non riguardino solo i giornali.

Più dell’informazione giornalistica e delle cronache spicciole, infatti, l’influenza sulla pubblica opinione viene esercitata dai film, dalle serie tv (oppure in streaming) che poi vengono rilanciate sui social media.

IL PREGIUDIZIO NELLE NARRAZIONI SULL’ADOTTARE BAMBINI

La domanda da porre al mondo del cinema, dei libri e delle serie è: come mai i serial killer o i personaggi problematici dei film, delle serie tv e dei romanzi sono spesso adottati? Oppure hanno un passato di bambini in istituto, in case famiglia o in affido da qualche parte?

È mai possibile che sceneggiatori e registi non possano trovare il “punto debole” di un personaggio protagonista (il “flaw”, come lo chiamano gli sceneggiatori, ovvero l’imperfezione) in altre caratteristiche? Un serial killer non può aver passato l’infanzia in una famiglia di imprenditori, bianchi e ricchi?

Quanto ai giornali, sull’uso del linguaggio è certo importante insistere. Titoli come “Figlio adottivo uccide la madre a coltellate” o “Genitore adottivo sorpreso a spiare la figlia con la webcam” creano di certo un pregiudizio. Il problema, però, va oltre il mero uso del linguaggio.

Siamo, tuttavia, solo al primo gradino di un’operazione culturale che – oltre a dover interessare giornalisti, sceneggiatori, registi e scrittori – ha più di uno step su cui impegnarsi.

ItaliaAdozioni, a questo proposito, ha messo a punto una check-list, con tanto di esempi brevi e concreti.

COME RACCONTARE L’ADOZIONE E L’AFFIDO DI MINORI

Si tratta di un post-it – come ha voluto chiamarlo la presidente di ItaliaAdozioni, Ivana Lazzarini – che giornalisti, comunicatori, scrittori, registi e sceneggiatori possono tenere sul desktop del proprio computer. Oppure, stampato, sulla propria scrivania.

Il post-it si intitola “Raccontare l’adozione”. E già il titolo invita ad andare oltre la mera informazione, dato che le narrazioni – più delle notizie – toccano e influenzano le nostre più profonde emozioni.

Il primo punto del post-it è la “cura del linguaggio”. Le parole definiscono le situazioni, applicano etichette a persone e fenomeni, possono distorcere la rappresentazione della realtà.

Di qui i suggerimenti pratici e sintetici, senza tanti giri di parole. Una figlia adottata e una madre adottiva sono una “figlia” e una “madre”. Una madre e un padre biologici non sono genitori “veri”, perché non esistono genitori veri e genitori “finti”, esistono i genitori.

Una figlia adottata e una madre adottiva sono una “figlia” e una “madre”.

I minori non vanno in adozione per povertà della famiglia di nascita, ma per situazioni di grave pregiudizio. L’adozione è complessità: non è una magica storia, neppure un fallimento annunciato.

Il secondo punto riguarda la “formazione e professionalità” di giornalisti, scrittori, registi e sceneggiatori.

Il nodo qui è l’uso della fonti a cui rifarsi quando si raccontano l’adozione e l’affido, la scelta degli argomenti da trattare in un racconto e la consapevolezza delle cornici interpretative che si applicano nel leggere gli eventi. Oppure nel narrarli (nella fiction, ad esempio).

La qualità delle fonti, la scelta degli argomenti, il ricorso a cornici interpretative aiutano la qualità e la completezza dell’informazione su adozione e affido. Questo sottolinea ItaliaAdozioni nel suo post.it.

UNA GUIDA AL LAVORO DI GIORNALISTI, COMUNICATORI E SCRITTORI

Quali suggerimenti allora per scrittori, comunicatori e giornalisti, sceneggiatori e registi?

Il primo suggerimento è di confrontarsi con le figure specializzate (professionisti, studiosi, esperti) che aiutano a far comprendere, a contestualizzare e a indirizzare le informazioni.

Il secondo suggerimento è di attingere alle informazioni e ai contenuti delle organizzazioni che si occupano di adozione e di affido. ItaliaAdozioni, ad esempio, fa della cultura dell’adozione e dell’affido la sua mission.

Sul fronte della comunicazione sull’adozione, ItaliaAdozioni ha un’indubbia competenza e conoscenza, come dimostrano i libri pubblicati, le iniziative nelle scuola (“L’adozione fra i banchi di scuola” e non solo), gli eventi e i convegni, gli incontri con professionisti e specialisti.

Infine, un altro suggerimento è il riconoscere gli stereotipi e i pregiudizi che rischiano di essere messi in campo da scrittori e giornalisti quando si occupano – per cronaca o per motivi di fiction – di adozione e di affido.

Linguaggio, quindi, scelta degli argomenti, cornici interpretative usate, qualità delle fonti, formazione e professionalità: sono questi i punti cardine di un’informazione e di una narrazione di qualità e corretta sull’adozione e l’affido.

Come per il giornalismo interculturale e la comunicazione interculturale, è fondamentale poi la scelta di un approccio umanistico al racconto (human centered communication).

L’approccio umanistico – fondato sull’ascolto e il dialogo, il rispetto dell’altro e la spinta ad andare oltre la mera superficie – sostanzia tutti i punti critici che prima sono stati evidenziati. Ed è un faro ad ampio spettro nell’orientare una comunicazione di qualità.

Maurizio Corte

(Articolo dal blog di ProsMedia. Foto di copertina: Annie Spratt, Unsplash)

 

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